Capitolo I
La casa di Whitechapel
Nel dicembre del 1842 tornai a Londra, dopo due lustri passati a perdere i miei anni migliori in compagnia di biscazzieri e altri individui di dubbia moralità a largo dell’Oceano Pacifico, quando seppi che mia madre era morta di tubercolosi. Non fece a tempo a rimordermi la coscienza, che mi resi conto che ero senza casa e senza denaro. Tentai di riallacciare i rapporti con qualche vecchio contatto della mia dissoluta vita londinese di dieci anni prima, ma quasi nessuno si ricordava di me, e chi mi riconobbe iniziò rapidamente a evitarmi. Trovare un lavoro senza alcuna referenza era impossibile, così decisi, con una certa riluttanza, di rivolgermi al vecchio zio Jack. Era un libertino ormai disfatto, il classico sconfitto dalla vita a cui col passare degli anni mi ero sentito sempre più affine. Con una certa sorpresa avevo scoperto che era ancora vivo, e che viveva in una casa decadente a Whitechapel, lasciatagli da una prostituta di vent’anni più vecchia di lui, che era stata sua amante ed era morta qualche anno prima di sifilide. Non capivo come fosse possibile che zio Jack non l’avesse seguita immantinente, ma in quel momento la giudicai improvvidamente una benedizione.
Ricordo ancora il momento. Erano le sette e mezza passate del 21 dicembre, una serata piovosa e fredda. Il mio pastrano ormai ridotto ai minimi termini mi pendeva gocciolante e sgualcito dalle spalle. Dopo non poca fatica avevo finalmente trovato l’indirizzo, in un viottolo fangoso e umido. La casa era buia e pensai che non ci fosse nessuno, ma poi notai che dal secondo piano giungeva una tenue e tremolante luce, molto probabilmente di candela. Questo mi suggerì che certamente si trattava di mio zio, che aveva sempre bollato le lampade a olio come un lusso eccessivo.
Dopo un ultimo tentennamento, sferrai tre forti colpi con il pesante battente arrugginito. Sentii echeggiare in modo inquietante il suono all’interno della casa, ma non successe nulla. Attesi un minuto e poi ripetei il gesto: ancora nulla. Pensai che la terza sarebbe stata la volta buona, e con tutta la forza che avevo in corpo (che non era poi molta, visto che non mangiavo da quando, la mattina precedente, una vecchia conoscenza mi aveva lasciato finire la sua colazione pur di liberarsi di me), mi profusi in un ultimo, tonante colpo. Non mi sbagliavo, e una voce gracchiante e astiosa foriuscì dalla finestra del secondo piano:
– Per San Bartolomeo, chi è a quest’ora? Non datevi tanta pena di sfondare la mia porta! Se in questa casa ci fosse ancora qualcosa di valore ora serei già nel pub in fondo alla strada, dopo una breve sosta al banco dei pegni! Andatevene e lasciatemi in pace!
Sorrisi: mio zio era proprio come me lo ricordavo.
– Zio! – gridai – Sono Andrew, vostro nipote!
– Quale nipote? – urlò di rimando – Non ho più nessuno, Sono solo un vecchio senza nessuno al mondo! Cosa mai potete volere da me? Solo la vita mi è rimasta, e vale davvero poco!
Doveva davvero essere invecchiato molto, se la memoria gli giocava così brutti scherzi. Tentai di rinfrescargliela:
– Andrew, l’unico figlio di vostra sorella Mary!
– Mary Ann o Mary Christine?
– Mary Ann zio, sapete bene che Mary Christine è morta a undici anni!
– E chi ha detto che a quell’età non si possano avere figli?
– Mary Ann, zio, sono figlio di vostra sorella Mary Ann.
– Ah. Non la vedevo da molto. Mi hanno detto che è morta… Sì, forse mi ricordo di te, ma pensavo che anche tu fossi morto. E soprattutto che ti chiamassi Anthony.
– Quello il mio secondo nome, zio! Venitemi ad aprire per favore, fa molto freddo!
– Ah, e quindi vorresti scroccare la mia legna? Bofonchiò, ma percepii che mentre continuava a borbottare aveva iniziato a scendere lentamente le scale.
Dopo qualche tempo, la porta finalmente si aprì su un buio ingresso, illuminato esclusivamente dal mozzicone di candela retto dalla mano tremolante dello zio Jack. Era coperto solo da una camicia da notte sudicia e lisa e da un vecchio copricapo di lana grezza, davvero un pietoso spettacolo, ma non potevo permettermi di fare lo schizzinoso.
– Buonasera zio – sussurrai, impressionato dal suo aspetto. Guardando meglio, il problema non era tanto il vestiario, quanto il suo volto, dalle guance infossate, gli zigomi affilati, gli occhi piccoli incastonati in due orbite profonde, i capelli radi e spettinati. Sembrava quasi un teschio, anzi la caricatura di un teschio, lontanissimo dal gaudente e rubicondo signore di mezza età che ricordavo. Ero turbato, ma cercai di non darlo a vedere. – Vi trovo bene, davvero, sembra che non sia passato un giorno…! –
– Baggianate! – replicò – Sono ormai una vecchia carcassa, un pallido riflesso di ciò che ero fino solo a un lustro fa. Ma se sapessi ciò che so io, non ne saresti così sorpreso. Entra, Andrew, entra. Se sei così disperato da venire a cercarmi, non credo che rifiuterai la mia ospitalità, anche se come vedrai essa sarà giocoforza di scarsa qualità. Entra, vieni, andiamo nella sala, forse ho ancora qualche gamba di sedia da buttare nel camino.
Era difficile che l’interno potesse deludere le mie bassissime aspettative, ma comunque ci riuscì. La sala era polverosa e vuota, tranne una vecchissima poltrona e un paio di sedie sbilenche, posizionate di fronte al freddo focolare. Le pareti erano crepate e l’intonaco malridotto, mentre mattoni sbreccati comparivano in diversi punti del muro. C’era un odore indefinibile, di muffa e polvere, tipico di luoghi umidi che non vengono mai aperti. Lo zio Jack mi invitò a sedermi su una delle sedie, e scelsi quella che sembrava meno pericolante. Lui prese l’altra e con inaspettata energia la sbatté sul pavimento, frantumandola. Poi prese alcune schegge e una gamba e le gettò nel camino, per dargli fuoco con la fiamma della candela. Ci volle un po’, ma finalmente un piccolo focherello cominciò a guizzare, spandendo un calore limitato, ma comunque gradito.
– Ho poco da mangiare – disse – ma lo condividerò con te. Ormai non viene più a trovarmi nessuno, e puoi ben capire perché. Ma non è sempre stato così. Tutto è cominciato cinque anni fa. Mi è successo qualcosa. Qualcosa di brutto. Da allora nessuno ha più voluto avere a che fare con me. Quando saprai di cosa si tratta, sarà lo stesso anche per te.
– Non dite così zio – replicai – Se sapeste ciò che ho vissuto io negli ultimi anni…
– Anche se fossi arrivato in fondo all’inferno – disse – non ti avvicineresti neanche lontanamente a ciò che ho vissuto io.
In effetti non era poi così lontano dalla realtà, era davvero come se fossi tornato dall’inferno. Ma non aggiunsi altro, e attesi che cominciasse a raccontare. Lui invece si alzò e uscì dalla stanza. Tornò dopo qualche minuto, reggendo sulle braccia in modo precario un piccolo vassoio. Sopra c’era un piatto crepato, con dentro una brodaglia scura e poco invitante. Non mi feci scrupoli e mi gettati sulla vivanda, cucchiaio alla mano. Dopo pochi istanti, avevo finito, e lo zio mi quardò quasi con pietà. Era strano destare un tale sentimento in un essere così miserabile, e ciò mi diede una vivida immagine di quanto fossi caduto in basso. Subito dopo, poggiai il piatto e affermai:
– Allora zio, cosa vi è successo di tanto grave?
– Cose terribili, nipote mio. Cose terribili.
Per sapere quali Cose non perdetevi, la prossima settimana, il seguito de “Lo strano caso de Le Cose”, con il Capitolo secondo, intitolato “Il manoscritto misterioso”!
Non mi perderei il secondo capitolo per nessuna cosa al mondo!!!!!
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