Il piano era chiaro, LE COSE avevano progettato LE COSE da tempo e da tempo sembrava che quell’auto abbandonata dalla proprietaria nei sobborghi di Biskhek fosse il punto di contatto tra il loro mondo ed un mondo diverso, forse migliore.
Quindi, LE COSE, seguendo le sapienti indicazioni del Barone, avevano per anni simulato una vita che non gli apparteneva: del travestimento, curato con angosciosa cura da Dario Marelli, facevano parte gli strumenti musicali, l’abbigliamento ricercato, le decine di groupies che vorticavano attorno ai membri del gruppo a più non posso, i milioni di dischi venduti come se non ci fosse un domani in tutto il mondo e per finire tours estenuanti con un’onanistica predilezione per le località alla moda, come Ome (BS) e Saint Tropez.
Tutto era falso…
E tutto ora, era finito…
Era il 1923, Il disco di quell’anno a cui era seguito un faticoso tour mondiale (un autentico fiasco) aveva portato veramente al limite la resistenza di tutta la band fatta eccezione per il poderoso Carcassone, che con l’entusiasmo degli incoscienti costringeva il segaligno Bardot a vedere vecchie partite del Sigma Olomouc al televisore, mano nella mano.
Il Barone arrancava, trascinava le stanche membra su e giù per il palco, nel suo indomabile ed irriverente caracollare: solo la prospettiva di poter alzare la chitarra oltre gli abituali 190 decibel gli permetteva di non pensare alla stanchezza e all’assurdità del momento.
Mercalli e Marelli erano regrediti allo stato primigenio, bofonchiando tra di loro lunghi monologhi in oscuri dialetti turco-bresciani, sviluppando evidenti tratti neanderthaliani.
Non va dimenticato che questo stato di enorme prostrazione era connesso non solo all’incipiente tappa in Kirghizistan ma anche al fatto che l’atmosfera era permeata del profumo dell’imminente crack di Wall Street e gli effluvi di tale immane evento erano inalati con insensata disperazione da LE COSE, senza alcuna distinzione… loro, loro si che sapevano…
In poche settimane la band aveva suonato praticamente dappertutto, raccogliendo le abituali contrastanti recensioni, caratterizzate da un modernismo di maniera che lasciava francamente poco spazio alla componente umana de LE COSE.
Come granitici automi ad ogni concerto LE COSE si lasciavano impossessare da un raro furore di stampo preraffaelita, ergendosi ad autentici ma scanzonati epigoni della rigida morale hippy.
Finalmente, arrivò il giorno: una graziosa ragazza, ansiosa di partecipare ad una lezione di Zumba non stop di 18 ore, aveva incautamente lasciato l’auto poco lontano dallo stadio municipale di Biskhek, dove ancora non si erano spenti gli echi di quello che LE COSE sapevano essere il loro ultimo concerto: giù il sipario, la festa è finita, dopo decenni di successi, finalmente LE COSE potevano chiudere il cerchio e rispettare il patto stipulato neI malsani scantinati di Via Pomezia.
Il gesto tante volte solo simulato, la rottura del lunotto posteriore, provocava al solo pensiero impagabili emozioni ad ognuno dei membri ma era chiaro fin dall’inizio che Marelli era la persona designata… non era stata una decisione; semplicemente, lo sapevano tutti, salvo lui stesso che, ignaro, si avvicinava al compimento del proprio destino!
….ecco! con goffa personalità Marelli, mano insanguinata, frammenti di vetro tra i capelli, si incunea nell’automobile, apre la portiera e fa segno a tutti gli altri di salire rapidamente!
La calcolata lentezza del Barone non gli impedisce di canticchiare in falsetto un pezzo di Erkin Koray, Carcassone rivendica le algide origini del Sigma Olomouc mentre Bardot e Mercalli badano al sodo e addentano un panino al prosciutto.
Nell’auto fa molto caldo, per un lunghissimo attimo LE COSE hanno evidentemente la consapevolezza che forse ne è valsa la pena: il lungo lavoro di una vita per arrivare a quel momento ha avuto un senso dunque!
Buffo pensare che proprio quel punto, quel momento, sia l’anello di congiunzione tra LE COSE e LE ANTICOSE…