L’epifania criogenica da Bertello d’Ossola a Paul Celan (passando per il noumeno kantiano)

Abbiamo recentemente scoperto, senza eccessivo stupore, che il blog de Le Cose è considerato negli Stati Uniti una rilevante rivista scientifica. Il prof. A. Chioggia Panteschi, ordinario di Filologia Anagogica presso l’università di San Bernardino (CA), ci ha chiesto il piacere di pubblicare il suo ultimo articolo, per far crescere il suo H-index. Lo facciamo volentieri, sia per amore della scienza, sia perché in cambio ha promesso di regalarci un cd originale di Justin Bieber.

L’epifania criogenica da Bertello d’Ossola a Paul Celan (passando per il noumeno kantiano)

di Arturo Chioggia Panteschi

(San Bernardino University, CA)

Dove sta l’eroismo?

Nel perseverare in progetti senza senso

(Anonimo, in un giorno di pioggia)

L’indissociabile connessione tra starnuto ed epifania creativa, sia essa lirica o logico-filosofica, venne già rilevata, oltre quarant’anni fa, da Manlio Tubini in un suo storico articolo oggi ingiustamente dimenticato[1]. D’altronde egli, nella sua pur colta dissertazione, rimase esclusivamente ancorato alla sua teoria dei filamenti paralleli, dimentico dell’importanza crescente che già in quegli anni stavano acquistando gli studi di linguistica oftalmica[2]. Se non fosse stato per lui, però, avremmo forse perso per sempre le tracce di un’importante linea di connessione che, da Aristofane, ci porta direttamente a Paul Celan, passando, tra gli altri, almeno per Appio Cieco, Plauto, Macrone, Ozio da Bellinzona, Petrarca e Bertello d’Ossola, senza contare Kant e Joyce.

kant

Immanuel Kant, ritratto in un momento epifanico

Infatti, il giorno in cui Immanuel Kant, come afferma Foster[3], cadde in preda ad un fortissimo attacco rinofobico nel bel mezzo della sua quotidiana dissertazione al Circolo Gnoseologico della Prussia Orientale, segna l’inizio di una nuova era nell’ermeneutica moderna, e contemporaneamente pone le fondamenta di quelli che, di lì a due secoli, verranno impropriamente chiamati “Critical Degenerative Studies”[4]. L’impostazione dei CDS non prevede però, come d’altronde lo studio di Tubini, un elemento importantissimo: l’occlusiva imperatività dell’“io” petrarchiano, che nella sua implicita e trasparente presenza, preclude a ben altre svolte di là da venire.

Ma leggiamo la prima stanza della celebre Canzone eroica di Bertello che, più di qualsiasi definizione critica, aiuta ad inquadrare il problema[5]:

Quan di vertute si fa canoscenza

e poi, senza spirti feri dal core

vien, pieno di certezza, l’uom di fronte

al suo disir, che più dolor da scienza

fora ci porta, e in mente, e dopo more, 5

e come la luce vien dall’alto monte,

così di aspri torti ben si move

l’atro maglio che contra’l fonte cozza

e scende oltre, fin’a dov’è morte,

oltre, per qual sia pur la vera sorte. 10

Oh, pure son le membra tue sì nove

e fonde, qual cielo, corda o pozza,

ed è’l tuo muto e crudo amor sì forte

che fallano le chiave e sì le porte.

Sono i vv. 3-5 e soprattutto 13-14 che, nel loro malcelato incedere cavalcantiano, racchiudono letteralmente “le chiave” del problema. La lettura di Filippone da Fiesole, che certamente influenzò numerosi contemporanei, non ha però nulla a che fare con l’ispirazione della lirica[6]. Il “muto e crudo amor sì forte” ha invece molto più a che vedere con quella che Paz ha definito, ovviamente sulla scorta di Borges, “iperinsensibilità nervosa”: esattamente quello stato mentale, oltre che dell’anima, di forzata sospensione, quasi di aspettativa, che anticipa un violento atto espiratorio. Il prosieguo del componimento, che non riproduciamo per ovvi motivi di spazio, chiarifica l’ampia parabola d’avvicinamento ad una climax che definirei, senza esitazione, ‘pavloviana ante-litteram’; ma tutto il movimento è già completamente presente, per quanto in nuce, nei versi sopracitati.

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Paul Celan

Nessuno d’altro canto vorrà opporsi all’idea di una lettura del Bertello da parte di Celan, che in numerose interviste ha fatto trasparire riferimenti non poi così velati alla profonda impressione che la Canzone gli ispirò quando, ancora bambino, la sentì leggere alla radio in traduzione croata. Ed è proprio qui che ritroviamo quel filo sotterraneo di cui si diceva, tramite il quale il noumeno kantiano si consustanzia nell’ossimorico schwarze Milch di Celaniana memoria, contraltare a sua volta del pubblico mutismo heideggeriano.

L’ulteriore anello della catena è rappresentato, come preannunciato, da Joyce. Joyce W. Vickery (1908-1979) infatti, a partire dal suo Flora of New South Wales[7], mostra di assorbire con grande sensibilità il valore epifanico dell’allergia alle piante della famiglia ‘Poaceae’, tanto da basare interamente su questa intuizione il suo capolavoro postumo Fur-seaweeds in arctic seas[8], che fornisce tra l’altro un’ampia documentazione sulle similitudini biologiche tra starnuto e orgasmo.

joyce

Joyce W. Vickery

Non pretendo certo di esaurire, in queste misere pagine, l’immensa mole di implicazioni contenute già nella semplice elencazione di questi pochi, ma essenziali dati. Ma credo ciò basti ad inserire l’epifania criogenica come nuova modalità del “fare poetico” (tautologia inutile quanto affascinante), e ad aprire a nuove ricerche, nuovi rimandi, legati alle infinite suggestioni derivanti da un semplice atto riflesso, e che pure tanta parte ha avuto ed ha nella vita di ogni essere umano. Per chiudere, vorrei solo ricordare, parafrasando Vleeschauwer[9], che sarebbe inutile immaginare le antinomie kantiane, o la stessa dialettica trascendentale, prescindendo da Anselmo d’Aosta (anche se è ovvio che ciò ha valore solo nei giudizi sintetici a posteriori). D’altronde, come afferma il filosofo ne La critica del giudizio, “senza immaginazione la rivoluzione è impossibile; senza espirazione è possibile, ma sconsigliata”.

[1] Manlio Tubini, Petrarchismo lappone. Per una teoria criogenica della creatività poetica, in «Schizofrenia e dissociazione nell’età evolutiva», XII, 3 (autunno 1975), pp. 63-81.

[2] Sulla questione, cfr. l’ottima sintesi presente nel volume miscellaneo Chomsky in cucina, a cura di Corrado Bensanti, Pasquali, Orte, 20032, in particolare le pp. 257-401.

[3] Hidalgo Foster, Handkerchief in western philosophy, Pomona University Press, Pomona, 1987.

[4] L’individuazione dei CDS come nuova branca del comparativismo australiano si deve a James Gordon, The female ostrich in contemporary greek poetry, in “Weather Forecast of Australian Comparativism” 23 (1991), pp. 73-285.

[5] Bertello d’Ossola, Opera poetica, edizione critica a cura di Gian Luigi Gregario, Candido Mondadori, Filicudi, 1967, pp. 107-108.

[6] Differentemente da quanto affermato dal Gregario nel suo commento (op. cit., p. 108, n. 7).

[7] Australian National Botanic Society, Sidney, 19611, 19752.

[8] Pubblicato su «Telopea» 2, 1 (1980), pp. 23-141 (numero interamente dedicato alla sua memoria).

[9] Herman J. de Vleeschauwer, L’evoluzione del pensiero di Kant, Laterza, Bari, 1976, p. 76.

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