Questo articolo di Benno von Arcimboldi inaugura una nuova rubrica del blog de Le Cose, intitolata “Disquisizioni cardiache”.
Negli anni ’60 Michel Foucault, che amava — fatto non molto noto — la musica alternativa, scrisse una monografia su due gruppi della scena underground parigina del tempo, “Le parole” e “Le cose”. Poco si sa su “Le parole”, se non che presentavano al pubblico cover rock delle canzoni di Brassens. Anche de “Le cose”non si sa molto, ma è vivo il ricordo della loro energia, del loro impasto di chitarra elettrica, piano e sassofono, un jazz lisergico e forsennato dalle infinite contaminazioni. “Le cose” però scomparvero nel nulla nei primi anni ’70. Ma come se non di un gruppo si trattasse, ma di un’entità mitica, un ebreo errante della musica, un Cagliostro destinato a reincarnarsi all’infinito, sono recentemente riapparse a Roma Sud. Qual è il loro legame con “Le cose” precedenti? Per capirlo bisognerebbe recuperare la prima redazione della monografia di Foucault, di cui a noi è giunto solo il titolo. La seconda redazione infatti non reca più traccia delle sue riflessioni sulle due band ed è diventata una fumosa disquisizione storico-epistemologica, segno evidente del suo declino intellettuale.
Va beh, però secondo me Foucault non c’ha mai capito un cazzo di musica rock…
"Mi piace""Mi piace"