Con la pubblicazione di un testo inedito di Rabarbaro Marvellini, inauguriamo la nuova rubrica “Poeti igno(ra)ti”. Si tratta di un servizio sociale, edito con il contributo del Ministero della Sanità Mentale.
Prima di deliziarvi con la lettura della poesia, permetteteci solo due brevi parole di contestualizzazione: il testo risale al 2007, anno in cui si ripresentò nell’agone politico un celebre partito silente da alcuni anni. Marvellini, riconoscendo la portata storica dell’evento, volle immortalarlo in questi imperituri versi, generosamente consegnati ai posteri.
Vista la distanza temporale dalla composizione, oramai è divenuto alquanto arduo identificare con certezza i numerosi riferimenti a personaggi e avvenimenti dell’epoca. Lasciamo volentieri il compito, come anche la gloria che ne deriverà, a critici più acuti e competenti di noi.
Ciononostante crediamo che, come per qualsiasi altra opera d’arte universale, non sia necessario conoscere tutti i particolari dell’occasione che ha generato l’estro creativo per apprezzare il testo di Marvellini; per cui bando alle ciance e buona lettura!
Socialista sum: fraudulenti
nihil a me alienum puto
La nostra vera causa di grandi sogni è fatta,
Il nostro unico amore è il figlio di mignatta;
Il giorno in cui Bettino perì in barbara terra,
Giurammo tutti uniti di fare nuova guerra:
Ai pallidi aguzzini nomati magistrati, 5
Crudeli inquisitori, Di Pietre e leggi armati;
Al popolino tutto, che tanto favorimmo,
Amammo come padri, per cui quasi morimmo,
E tetro ci ha cacciato, ci ha spinto nella rete,
Neanche concedendo di coglier le monete 10
Che pure loro stessi ci avevano donato,
Tirandole con gioia al nostro maggiorato.
In sordidi ritrovi, in pallide villette
– Caraibi Seychelles Cayman -, nascondersi dovette
Il nostro spirto fero, di gloria oberato; 15
S’accontentò di poco: di un cesso platinato,
Salone e caminetto, sei camere e cucina,
giardino all’italiana, tra i faggi una piscina;
laddove tristemente, il cupo socialista
pilucca del caviale, e sniffa sulla pista. 20
Poi giunse un gran signore, che un tempo ci era amico,
Compagno di merende, davvero un grande fico;
Ed egli, piano piano, di un regno ormai caduco
Tirò i laschi freni, colmando il fresco buco,
ch’avea, con delusione, contrito eppure ligio, 25
Lasciato con angustia il sire callipigio.
Sembrava che portasse col fiero suo cipiglio
Un fasto tinteggiato di bianco, come un giglio;
Il nuovo conduceva ai ricchi ed alle masse,
Lavato con perlana, brillante ed esentasse. 30
Raggiunto l’alto colle, scacciate le zanzare,
Con lucida allegria finì per sdoganare
Il pallido squadrista che a Fiuggi tra i ruscelli
Aveva risciacquato il nero dai mantelli;
E dalla Val Padana, gli giunse, caldo e puro, 35
Il getto rantolante d’un membro sempre duro.
Infine l’ordo pio dei santi forlanisti,
Benedicente e casto, plaudendo i giornalisti,
Entrò nella congrega, portando al salvatore
i voti moderati e il plauso del Signore. 40
Tu solo hai saputo oh, gran vendicatore
Con leggi ad personam ridarci il nostro onore;
Osammo finalmente mostrar la nostra faccia,
Tornare dall’esilio, riprendere la caccia.
Ed oggi che anche gli altri, i vecchi comunisti 45
Ci seguono d’appresso, si chiaman riformisti,
Adesso che la gente non alza più la voce,
non grida, non s’indigna, portando la sua croce,
Sentiamo che il paese di nuovo è maturo:
Noi siamo i socialisti, l’Italia del futuro. 50