Le Cose Distopiche (parte 6)

(Puntata precedente)

L’immensa Sala delle Adunanze era immersa nell’ombra. Sembrava un’oscura grotta post-industriale. Don Ringo rimase interdetto: l’ultima volta che era stato lì la sala era illuminata a giorno e in fondo spiccava lo Sgabello Divino, dietro il quale incombevano minacciose torri di casse 4×12.

Ora invece si vedeva solo una pallida luce, appena percettibile dall’immenso portone d’ingresso. Se non avesse saputo che per il resto la sala era completamente vuota, Don Ringo avrebbe avuto paura di inciampare ad ogni passo, mentre il composito gruppo si avvicinava brancolando al lontano chiarore.

Il Barone invece aveva altro a cui pensare. Sudava copiosamente, nonostante il freddo acuto che aleggiava e che gli ricordò il breve momento di panico vissuto poche ore prima, quando dalla navetta avevano fatto il trasbordo verso la Nave-Reggia. Nessuna navetta poteva infatti attraccare, se non in casi eccezionali. Il suo cervello era in piena attività, e molti pensieri e pulsioni contrastanti si combattevano ferocemente lo spazio a disposizione.

Bardot appariva innaturalmente calmo, come se fosse tornato indietro, agli anni di apprendistato in convento, sotto l’ala benevola di Suor Raimondo. Aveva un solo pensiero fisso in mente: recuperare il suo strumento, ad ogni costo.

Marelli sbadigliò. Poi ruppe bruscamente il silenzio sacrale di quel luogo inquietante:

– Andiamo a fare il culo a quello stronzo Divino.

Ma la sua voce, che pure sembrava all’inizio tanto forte e perentoria, si perse nel vuoto, spegnendosi in prossimità delle pareti insonorizzate. Nessun suono poteva permettersi di echeggiare in quel luogo. Nessuna voce, tranne una.

BENVENUTI! (UTI, uti, uti…)

Un brivido elettrico attraversò la colonna vertebrale del Barone. Don Ringo sussultò, ma si riprese subito. Bardot ammiccò incerto. Marelli invece già camminava spedito verso il punto da cui la voce era sgorgata in un subito fiotto. Gli altri lo seguivano dappresso.

Si avvicinarono. Sullo Sgabello si stagliava una figura a suo modo imponente, ma la sua postura era curva, come se fosse oppressa da un peso immane. Il volto era nascosto da uno spesso velo di ombre.

Due piccole scintille si accesero al centro delle profonde orbite oculari. La voce echeggiò di nuovo, ma un po’ meno imperiosa e altisonante. Era una pallida imitazione della voce che risuonava costantemente sulla Nave-Fabbrica, appariva più roca e polverosa, quasi incrinata.

– È un piacere tornare a vedervi, amici. Mi chiedo solo se questa sarà la volta buona.

Seguì una lunga pausa, che nessuno osò infrangere, fino a che Mercalli aggiunse:

– Devo ammettere che comincio ad essere un po’ stanco.

Bardot fu il primo a ritrovare il coraggio:

– Sono qui solo per un motivo: rivoglio il mio sax. Ad ogni costo.

Poi Don Ringo, un po’ meno sprezzante:

– Divino, temo che ci sia qualcosa che non è andato per il verso giusto. Temo… che tu ti sia… sbagliato…

Il Barone tremava, e dai suoi occhi cominciò a defluire un rivolo di follia.

Marelli si muoveva cauto.

– Sbagliato? Sì, certo, può essere un modo per definire la situazione. Oppure è l’universo intero ad essersi sbagliato, e io sono la sola entità esistente ad essere nel giusto.

– Dammi il mio sax…! Dov’è, dove lo tieni?

– Divino, le due cose sono equivalenti e il risultato non cambia.

Il rivolo divenne un torrente.

E Marelli fece un altro passo.

– Non cambierà per il resto dell’universo, ma cambia per me. So tutto, ma non riesco a decidermi. So cosa devo fare, ma sono restio a farlo.

– Il sax! Ridammelo, cazzo!

– Ma la Tua Volontà coincide con il dovere dell’universo. Per te dovere e volere sono un’unica cosa!

Il torrente divenne un fiume in piena.

Marelli infilò una mano in tasca.

– Lo so, è per questo che farò ciò che devo, perché in fondo è ciò che voglio. E farò ciò che voglio, perché devo. Non ci sono altre opzioni questa volta. Per la prima volta, sono costretto a muovermi verso un unico esito forzato. Devo costringermi a fare ciò che voglio.

– Sax… il mio… sax…!

E poi il fiume straripò.

Il Barone e Bardot si scagliarono verso Mercalli, nello stesso momento in cui Marelli estraeva dalla tasca della tuta un frammento appuntito di lamiera.

Un liquido denso zampillò nella penombra, macchiando di rosso le torri di casse 4×12.

[CONTINUA]

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