Le Cose Distopiche (parte 9)

(Puntata precedente)

IO, IL NARRATORE, SONO IL BARONE.

Buio. Disagio. Conflitto.

Bollicine. Bollicine bollicine bollicine.

Suono. Musica!

Bollicina.

Una piccola luce. Parole. Marelli. Mercalli. Colpa. Colpa di Mercalli.

Chi sono io? Chi ero?

Il Barone, un intellettuale, un uomo di potere, maschio alfa, dominatore delle dinamiche sociali e politiche. Con una posizione importante, molti amici. Una figura stimata, un punto di riferimento della comunità nazionale e internazionale.

Sì! Sì sì sì! Anzi no.

Bollicine…

Mercalli… Il Divino? No! Un usurpatore! La perfetta metafora del declino intellettuale del nostro meraviglioso Paese, derivante dall’ascesa di parvenues con poteri spaziotemporali indebiti e acquisiti senza alcun merito!

Paese? Ma quale Paese…? Quale Cultura, quale Accademia, quale…

Che illuso, che idiota! Pensare di affidarsi al naturale riconoscimento dei propri meriti intellettuali in un Nuovo Ordine guidato dal caso, governato da una divinità autoproclamata e completamente autoreferenziale, che crede di bastare a se stessa, di non aver bisogno di saggi consiglieri, di guide. Un Principe senza un Machiavelli. Inutile… No, non inutile, pericoloso!

Pericoloso e ingrato! Mi ha relegato al ruolo di brutale servitore, di mero braccio armato della sua inetta perfidia!

Eccolo, davanti a Marelli. Eccolo, che nuovamente tenta di soggiogare coloro che osano pensare con la propria testa. Eccolo, mentre umilia nuovamente il pensiero divergente, sostituito dal pensiero unico dominante!

– Morte al tiranno!

Il Barone si lanciò contro Mercalli, ma fu immediatamente intercettato da Don Ringo, che lo scaraventò a terra eseguendo un perfetto rock bottom.

– Dicevamo?

– Già, dicevamo? Ripeté Bardot, fissando Marelli.

IO, IL NARRATORE, SONO MARELLI

Momenti lontani nel tempo, ma scolpiti a fuoco nella mia torbida coscienza.

Il barattolo, era tutta colpa del barattolo.

Erano venuti con larghi sorrisi e mani tese, pacche sulle spalle e un’idea meravigliosa. Vecchi amici, dei tempi delle scuole, compagni di merendine. All’inizio ero stato sospettoso. Che volevano da me, dopo tutto questo tempo? Loro erano gente importante, avevano studiato, ma a me non fregava un cazzo. Avevo i miei sogni, la mia donna, le mie macchine… I sogni, già. I sogni.

Sognavo una nuova macchina, diversa da quelle con cui avevo quotidianamente a che fare. Una macchina speciale, la cui capacità creativa andasse al di là della materia. La Macchina. E un uomo che la usasse, la sua giusta controparte.

Io? No, non io; piuttosto il mio migliore amico, il mio sodale, un uomo distrutto dai suoi demoni, che aveva bisogno di tornare se stesso. Aveva bisogno di risorgere.

Ma lui non avrebbe mai accettato di usarla. Bisognava costringerlo, anche con l’inganno se necessario.

Alla fine trovai la soluzione.

Ci mettemmo alacremente al lavoro il 2 aprile. Avevamo pochissimo tempo. Dopo ore inebrianti, senza dormire, senza mangiare, avevamo finalmente in mano un prototipo. Il barattolo era pronto.

– Aspetta, disse Don Ringo, stringendo gli occhi per la concentrazione, la mano poggiata sulle labbra, vuoi dirmi che il “barattolo” era…

– Sì, rispose Marelli, un dispositivo di distorsione spaziotemporale nascosto dentro….

– Un pedale distorsore per basso. Sei un bastardo, Marelli, un essere vile, una m….

IO, IL NARRATORE, SONO DON RINGO

La sera del 3 aprile facemmo le prove generali del concerto. Marelli me l’aveva dato furtivamente poco prima di entrare in sala prove. Non mi ero mai completamente fidato di lui, ma il suo approccio naif e quest’aria di chi sembrava contemporaneamente noncurante e padrone della situazione mi piacevano. Aveva qualcosa di sopitamente sconcertante e mi hanno sempre attratto le cose sopitamente sconcertanti. Così accettai di fare come mi aveva chiesto.

Mercalli attraversava un brutto periodo. Non era contento di nulla e temeva che la sua vena creativa fosse in fase calante. Era sempre stato imperioso e volitivo, a volte palesemente tirannico, ma in quei giorni qualcosa si era incrinato.

Gli dissi semplicemente che quello era il distorsore giusto per lui, che il suono giusto gli avrebbe permesso di ritrovare gli antichi fasti, che l’unico vero graal del musicista non sono l’armonia perfetta o la perfetta melodia, ma è il Suono, quel Suono, che hai nelle orecchie e nel cuore, quello che sai che ti appartiene e che passi la vita a cercare.

Mi guardò con occhi vitrei e distanti. Non sembrava convinto. Ma mise il “barattolo” nella tasca esterna della custodia del basso.

Le prove non andarono benissimo. Mercalli non era con noi, non completamente. Sembrava concentrato su qualcosa di distante, che nessun altro poteva vedere. Due giorni dopo era previsto il concerto.

– Amico, ti capisco, disse all’improvviso Bardot, ma il suono non è nel basso, o nell’amplificatore, o in un qualsiasi effetto. È dentro di te.

– Hai ragione, rispose Mercalli, ma allora non lo sapevo. E ora è troppo tardi.

– Non può essere tardi, se per te “presto” e “tardi” sono concetti privi di significato.

IO, IL NARRATORE, SONO BARDOT

Prima del concerto c’era molto nervosismo. La musica è una disciplina spirituale, ma noi occidentali non l’abbiamo mai capito veramente. La viviamo per quello che non è: dimostrazione tecnica, strumento di riscatto sociale, mezzo di seduzione. Mentre invece è uno strumento di comunione, creazione di una mente collettiva, unione degli spiriti e dei corpi.

Salimmo sul palco con le intenzioni sbagliate, ma comunque suonammo. La preghiera è sempre tale; anche se ti spinge l’egoismo, il tuo contributo all’armonia dell’universo arriva, sebbene in minima parte. Arrivati al pezzo finale, l’aria risuonava di rabbia. Mercalli collegò il suo nuovo distorsore. L’ultimo pezzo in scaletta era jarviscocker. Nella sezione finale, tutti gli altri strumenti tacevano e il basso rimaneva da solo. Mercalli premette lo switch del pedale. E successe.

– Hai ragione, commentò Mercalli, solo che questo implica rinunciare a tutto.

Don Ringo piegò leggermente il capo.

– Ma questo “tutto”, per te significa qualcosa?

Mercalli chiuse gli occhi.

IO, IL NARRATORE, SONO MERCALLI

Fu tutto incredibilmente rapido. È come un uomo nato cieco che improvvisamente recupera la vista. Non sa neanche cosa siano i colori. Vidi, o sentii, molte cose, ma non sapevo interpretarle. Mi guardai intorno. Non ero più nel locale, ero in un non-luogo e in un non-tempo, perché tempo e spazio non avevano più significato per me. Scoprii presto che potevo viaggiare in me stesso ovunque e sempre, e cambiare tutto ciò che volevo, provare e riprovare, come in un videogioco in cui si possono rivivere continuamente le stesse situazioni, affrontare quante volte vuoi le stesse prove, finché non capisci come trarne il massimo vantaggio, come vincere e dominare.

Sfruttai la cosa a mio vantaggio, come avrebbe fatto chiunque; pensai di avere l’opportunità per riappropriarmi di un futuro che sarebbe dovuto essere mio di diritto e che un fato ingiusto e esseri invidiosi e mediocri ma influenti mi avevano sottratto. Ora nulla avrebbe potuto fermarmi. Costruii il mondo in funzione di me.

L’avventura nello spazio, che per anni avevo letto nei libri, la conquista di nuovi mondi, la costruzione di una società utopica, regolata da rigide leggi politico-filosofiche. L’invenzione di una nuova teologia e di un surrogato di sacralità, che mi permettesse di dominare anche ciò che neanche i miei immensi poteri mi permettevano di toccare, ovvero l’interiorità dei miei simili.

Ma è successo qualcosa che non mi aspettavo. Ho ottenuto tutto, ma ho perso l’unica cosa che era veramente importante. La condivisione, l’amicizia. La musica.

– Bene, ora so cosa devo fare.

Mercalli aveva gli occhi arrossati. Sembrava affetto da una grave forma di raffreddore. Sfilò dalla tasca un consunto paio di vecchie mutande e si soffiò ripetutamente il naso.

– Torneremo lì, a quel giorno. Rifaremo tutto, ma non userò quel pedale.

Marelli lo guardò intensamente.

– Annullando l’azione che ha ingenerato il tuo potere, non potrai mai più tornare indietro. Il “barattolo” ha funzionato grazie ad una incredibile congiunzione di eventi, che potrebbe non prodursi mai più. Se modifichi anche un solo gesto, se attendi anche solo una frazione di secondo, non ci sarà mai più modo di…

– È questo l’obiettivo. Cancellare tutto questo, assieme alla possibilità che avvenga di nuovo. Anzi, far sì che non sia mai avvenuto.

Bardot era in lacrime.

– Solo uno dio può trovare in sé la forza immensa di rinunciare alla sua stessa divinità. Diventi veramente Divino solo nel momento in cui rinunci ad esserlo, Mercalli.

– Ok, basta con la cazzate. Svegliate il Barone. È ora di tornare a casa.

Dopo qualche minuto erano tutti in cerchio di fronte a Mercalli. Nessuno sembrava avere più nulla da dire.

Mercalli si concentrò. Marelli, Don Ringo, Bardot e il Barone trattennero il respiro.

Entro pochi istanti sarebbe tornato ad essere il 5 aprile 2019. Quando tutto aveva avuto inizio; e quando tutto finirà.

[CONTINUA]

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