Atanasio S1:E1 “In soffitta” (A Le Cose Original Series)

Sono stanco. Sono stanco per gli altri. Per come si affannano, per come corrono. Sono stanco di vederli così inquieti, instabili, rapidi, infaticabili. Loro non si fermano mai, e io sono sempre fermo. Loro sbuffano in un travaglio infinito, e io sono stanco. Non potrò mai più raggiungerli.

Annalisa aveva una grande ansia di vivere. Quel giorno, quando entrò in casa della nonna, lo fece con la solita impazienza, come se dovesse sbrigare una pratica. Si chiuse la porta alle spalle e gettò le chiavi sul divano: Nonna! Sono io! L’ampia sala che dava sull’ingresso era semibuia, le scale sul fondo, piene di polvere, sembravano una quercia vecchia e ritorta. Nonna! Dove sei? La cucina aveva un’aria abbandonata, a metà tra un vecchio tinello tirolese e la cambusa di una nave. Sul tavolo di legno scuro giaceva un piatto, con dentro uno strano magma oscuro, d’una sostanza inconoscibile. Nonna! Sul fuoco acceso giaceva una pentola imbiancata e secca, che doveva aver contenuto dell’acqua. Ma porc… Annalisa spense il gas, e cominciò a guardarsi attorno con più attenzione. C’era un odore strano, nascosto da qualche parte, vicino al lavello. Uno sportellino nascondeva la pattumiera, piena e maleodorante. Spalancò gli occhi, e si diresse a passo veloce verso le scale. Nonna! Sei sopra? Il flebile scricchiolio degli scalini, coperti da un vecchio tappeto, le aveva sempre trasmesso un sapore strano, composto da una parte di timore e due parti di una strana soddisfazione per qualcosa di antico e perduto. Superò il ballatoio ed entrò nella stanza da letto. La nonna si era assopita sulla poltrona. Nonna…! La scosse lievemente.

Lo so che sono io ad essere malato. Non sono gli altri. Eppure, ne sono certo, non farei a cambio. Qual è il senso di bruciarsi così, come fiammiferi, nello spazio di un respiro? Eppure, una volta, anche io ero come loro. Me lo ricordo. Marciavo rapidamente, come tutti. Non si può dire con certezza quando è cominciato. Come posso rispondere ad una domanda, apparente banale, come “quando”? Come posso, quando la mia malattia è il tempo?

Il funerale si tenne dopo solo due giorni. Il medico accertò che la signora Elisabetta era morta da almeno ventiquattr’ore. Non era il caso di aspettare oltre. Annalisa e sua madre Francesca prepararono tutto molto in fretta. Si recarono alla vicina agenzia funebre, dove non avevano mai messo piede, e avvertirono i pochissimi amici e parenti. Vennero il padre di Annalisa, poi zio Giuseppe e due cugini che Francesca non vedeva da quando era bambina. E poi il dottor Ruggeri, e Brunella, la migliore amica della nonna, che fu l’unica a piangere. Mostrarsi disperata era il suo modo per iniziare ad archiviare il fatto, e tentare di non pensare agli anni che aveva in più dell’amica. Dopo il funerale, Annalisa si trovò sola in casa con la madre, come sempre. Si buttò davanti al televisore, con la sgradevole sensazione che qualcosa non tornasse. La madre, in cucina, preparava un tè verde. Il salotto cominciò ad ondulare all’improvviso, e a girare lentamente. Non ho voglia di crederci, mamma. Non ne ho proprio voglia. La nausea le si ramificava in gola. Dimmi che posso evitare di crederci. Francesca uscì dalla cucina, con due tazze fumanti. Forse per qualche giorno, se ci tieni. Ma non serve a niente. Tieni. L’offerta provocò una smorfia di disgusto, ma fu comunque accettata. Cosa ne sarà delle sue cose? Cosa succederà ora alla sua casa, alla sua vita? La sua vita non esiste più, e la sua casa oramai sarebbe solo una conchiglia vuota, se non fosse per… Annalisa alzò gli occhi: Per cosa? Per il problema più grosso che adesso dovremo affrontare. Atanasio.

Elisabetta! Mio unico amore… Forse l’unico no, non si può dire. Ma ora sì, sei l’unico. Non so dire se è davvero un forte sentimento, o solo una forte dipendenza. Un’immenso opportunismo, una necessità totale, come quella di un neonato nei confronti della madre. La prima forma d’amore. In certi momenti ci ho creduto. Mi è sembrato quasi che tu saresti riuscita ad accompagnarmi, fino in fondo, che volevi fermarti, come me. Ce l’avresti potuta fare. Ma non hai voluto, e forse hai fatto bene. Se fossi diventata come me, chi avrebbe accudito entrambi? Tuo marito? Quel folle pazzo, che correva più di tutti, e che come è arrivato se n’è andato, lasciandoti tra la braccia una figlia prematura? Fin da neonata precoce in tutto, mi sembra di non averla mai vista bambina. Forse non l’ho proprio mai vista. Alla fine penso che mi odiasse. Capisco che se ne sia andata. Ora ci sei rimasta solo tu, Elisabetta. Ma sei così fragile! Ti sei accartocciata come un foglio di carta sul fuoco. Però non smetto di amarti. Ormai ho superato queste cose. E poi oggi, non ci crederai, ho trovato allo specchio un altro capello bianco. Avrei voluto piangere. Voglio mostrartelo. Ti sto attendendo…

Il giorno dopo, presero coraggio e tornarono nella casa. Non sembrava cambiato nulla. Avevano solo pulito un poco, il giorno successivo a quello in cui Annalisa aveva trovato la nonna morta sulla sua poltrona. Francesca alzò il dito: Credo sia in soffitta. Non ci sei mai stata, vero? Mi sembra così strano, è come se tornassi all’improvviso indietro di trent’anni. È sempre stato qui, molto più presente di mio padre… però era come se non ci fosse. È così tanto che non lo vedo… oramai deve essere molto vecchio, ma non è morto, ne sono sicura. Sai? L’ho odiato. Ma in fondo non so perché, non se lo meritava. Annalisa sgranò gli occhi: Non te la cavi così! Chi diavolo è? Perché nessuno me ne ha mai parlato? Possibile che sia sempre stato qui, e io non ne abbia mai saputo nulla!? Francesca replicò: È una storia un po’ complicata, e molto delicata. Beh, lui… si è sempre detto che fosse l’amante della nonna, e non ci sarebbe stato nulla di male. Come sai, il nonno se ne andò di casa quando ero ancora piccola, come ha fatto anche tuo padre con te. Insomma, lei era ancora molto giovane, era normale che… Il fatto è che Atanasio era qui già da prima, da prima che mia madre si sposasse, forse anche da prima che lei nascesse. Non so bene qual è la storia, non so se era un amico, o un lontano cugino, o un nipote di mia nonna. Venne qui da lontano, per curarsi, credo. Era malato. È sempre stato malato. Mia nonna lo accudì, doveva essere solo un bambino allora. E pare che, quando entrambi crebbero, mia madre se ne innamorò; un amore corrisposto. Solo che la sua malattia era troppo grave, e incurabile. Mamma decise di occuparsi di lui e di tenerlo sempre con sé. Ma fu costretta a sposare un altro. Lo sai, dopo essermene andata, non venivo spesso qui, e non parlavo quasi mai di lui con tua nonna. Ma da tante cose sapevo che continuava a stare qui, che lei continuava a prendersene cura. E deve essere ancora qui.

Annalisa era sconvolta: Un vecchio malato, qui! E tu solo ora ti preoccupi di passare a vedere come sta! Non sai se è autonomo, se può prepararsi da mangiare da solo, se deve esser curato! Sei una criminale! Sua madre spalancò le mani: Stai calma, non è come pensi. Lui è sempre stato autonomo, e poi ha davvero bisogno di poco. Credo stia benissimo, a parte la sua malattia. Comunque saliamo su, è meglio.

Alla soffitta si accedeva dal secondo piano, tramite una stretta scaletta a chiocciola, seminascosta da un pannello di compensato. Annalisa era convinta di non aver mai notato quel passaggio. Eppure erano più di vent’anni che frequentava quella casa: da quando era nata. Francesca cominciò a salire con cautela sulla struttura dondolante e instabile. Lentamente tirò su la botola e sparì nel soffitto. Annalisa ebbe un tremito. Mentre attraversava lo stretto passaggio, la colsero un rapido spasmo e una densa sensazione di calore. La stanza era in penombra, e un poco sporca. Era piena di mobili e libri e carta sciolta erano poggiati ovunque. C’era un’unica finestra, di fronte alla quale c’era un piccolo scrittoio, illuminato dal sole. Di spalle, sedeva un uomo, dai capelli neri leggermente brizzolati. Non faceva nessun rumore, anzi, sembrava quasi non respirare. Francesca era ferma in mezzo alla stanza: Atanasio! Sei tu? L’uomo non si mosse, ma lei era riluttante ad avvicinarsi. Annalisa era impietrita. Sembrò passare un tempo infinito. Poi l’uomo sembrò muoversi. Era qualcosa d’impercettibile, come accorgersi, fissandolo, del sole che si sposta nel cielo. Come accorgersi del moto degli astri. Eppure si muoveva, si stava voltando. Come se facesse uno sforzo infinito, l’uomo spostò la sedia, prima forse solo di un millimetro, poi di due, poi di un centimetro… Dopo qualche minuto aveva fatto un quarto di giro; allora, come se si trattasse di sollevare un immenso peso, l’uomo cominciò ad alzarsi. Annalisa non poté guardare l’orologio, ma le sembro che per compiere l’intera operazione, l’uomo avesse impiegato almeno dieci minuti. Non lo vedeva bene, poiché aveva la luce alle spalle. Lui invece fissò entrambe le donne intensamente, senza battere ciglio, come una statua di cera. Poi, lentamente, ancora più adagio del sorgere del sole, un sorriso s’aprì sul suo volto.

Francesca. Non è possibile, tu. Non ci credo, sei uguale, esattamente uguale a quando te ne sei andata… Sei ancora così giovane, come è possibile? Sei uguale, eppure sei diversa… Ma chi è questa donna con te? Sembra te, però più vecchia. Sei proprio tu? Ti ho forse contagiata?

Ccccccchhhh… L’uomo cominciò a produrre uno strano rantolo. Hhhhhhh…. Annalisa ritornò d’improvviso in se stessa: Mamma, aiutalo, non può parlare… Hhhhhhhhh… Fece un passo verso di lui, mentre sua madre continuava a rimanere immobile, a bocca aperta. Avvicinandosi, cominciò a vedere meglio il suo viso. Non sembrava poi così vecchio. Hhhhiiiiiiii… Anzi, non aveva quasi rughe: un viso bianco e magro, ma quasi immobile, come congelato in una strana smorfia. Iiiiiiiiiiiiii… Ssssssssssss… E i vestiti! Erano molto vecchi, senza dubbio, e molto rammendati. Sembravano avere almeno trenta, o quarant’anni, forse di più. Ssssssseeeeeeee… Roba che forse era già fuori moda negli anni Quaranta… Eeeeeeeeeeeiiiiiiiiiii. Vestiti che lei aveva visto forse solo in certi film, di prima della guerra. Iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii? All’improvviso sua madre parlò: Sono Francesca, non mi riconosci? Annalisa si girò verso di lei, sorpresa. L’uomo continuava a restare quasi completamente immobile. Poi ricominciò di nuovo a produrre i suoi strani suoni: Ppppppppppiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiuuuuuuuuuùùùùùù… Questa volta Annalisa si concentrò maggiormente. Le sembrò di capire che l’uomo voleva dire qualcosa. Pppppppppppiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiaaaaaaaaaaa… nnnnnnnnnnnnnnooooooooooooooooooo… La madre rispose lentamente, quasi sillabando, come se volesse farsi capire da uno straniero: So-no-Fran-ce-sca, ti-ri-cor-di-di-me? Mi-a-ma-dre, E-li-sa-be-tta, non-po-trà-pi-ù-a-ccu-dir-ti. Lei… L’uomo rimaneva immobile, e sembrava non capire. Francesca si girò verso la figlia: Credo sia peggiorato, molto. Per favore, esci, e vai a prendere qualcosa da bere e da mangiare. Sbrigati!

Annalisa uscì di casa, per recarsi in una vicina rosticceria. Respirava l’inquietudine con l’aria. Quando tornò, vide che l’uomo si era nuovamente seduto allo scrittoio. Era sempre immobile, ma con la mano stringeva una penna, la cui punta poggiava su un foglio. Aveva già scritto tre lettere: una ‘d’, una ‘o’ e una ‘v’. Ora la linea stava curvando verso l’altro. Sembrava che una tartaruga incedesse lentamente in un immenso deserto. Pian piano formò una ‘e’. Dove… lesse Francesca. La mano, muovendosi pianissimo, si sollevò; poi ripoggiò la punta della penna a mezzo centimetro dalla ‘e’, e ricominciò il suo lungo viaggio, come Marco Polo sulla via della seta. Alla fine, dopo un bel po’, le due donne poterono leggere: Dove si trova Elisabetta? con tratti così perfetti, da sembrare appena usciti da un vecchio manuale di calligrafia.

Francesca si girò verso sua figlia: È inutile tirarla per le lunghe, bisogna diglierlo. Quindi si rivolse all’uomo: Mi-a-ma-dre-è-mor-ta, mi-di-spia-ce. Ma-non-ti-pre-o-ccu-pa-re, noi-ti-a-iu-te-re-mo. Annalisa aveva comprato mezzo pollo e delle patate arrosto. In effetti non sapeva se l’uomo poteva mangiarle; comunque le poggiò sul tavolo di fronte a lui. Per un po’, Atanasio sembrò non accorgersene. Il suo viso era congelato in un’espressione di estrema tristezza. Dopo un po’, ricominciò la sua lenta rotazione. Mettendoci molto tempo, prese una patata e se l’avvicino al viso; poi la riposò nel vassoietto d’alluminio. Riprese a scrivere: Non ho fame, grazie. Ho solo freddo. Ci volle un quarto d’ora, ma già quando stava tracciando le ultime lettere, Annalisa corse a prendergli un paio di coperte, che gli avvolse attorno. Piano! le disse la madre, fai piano. Poi le due donne si guardarono. Erano già due ore che erano lì dentro. E non sapevano più che fare. Salutarono Atanasio e tornarono al piano inferiore.

La giovane Francesca è impaziente come vent’anni fa; la Francesca matura mi sembra più calma, si sforza di parlare con me, per la prima volta. Non le ho viste arrivare, mi hanno sorpreso, spaventato. Poi sono di nuovo andate via. Il pollo non mi piace, ma comunque non ho fame. E quando mi verrà, credo sarà ormai immangiabile. Pazienza. Non voglio il pollo, semplicemente vorrei non dover restare solo. Elisabetta, era solo questione di tempo. Come tutto, d’altronde. Il mio dolore non è forte come dovrebbe, come vorrei. Non è strano? Non ho mai pensato al suicidio. Come molti malati, sono più attaccato alla vita di tanti sani. Ti ricordi? Tua madre mi diceva sempre che non ero malato, ma che ero come un albero. Un albero cresce piano, ma solido, e trova il suo spazio nel mondo.  Dove tanti s’affannano e si muovono di continuo, lui sta fermo, e starà lì ancora quando gli altri non si muoveranno più. Eppure non l’ho mai trovata una considerazione consolante. Francesca, non mi lasciare qui da solo. Non mi gettare in pasto ai folli della corsa.

Rimasero in silenzio per un po’. Poi Annalisa chiese: Cos’ha, mamma? Che malattia è? Mi sembra terribile… Francesca si girò verso di lei: Credo sia una strana forma di catatonia; strana perché non è totale… Non so spiegarti. E il dottor Ruggeri, il medico di nonna, ne sa qualcosa? Sì, certo, è stato lui, subito dopo il funerale, a parlarmi di Atanasio, a dirmi che dovevamo trovare un modo per risolvere il problema dell’assistenza di cui necessita. Abbiamo un appuntamento fissato oggi; dovrebbe essere qui tra poco.

Annalisa fissò il muro per un po’ di tempo, anche se non avrebbe saputo dire esattamente per quanto. Poi il campanello suonò.

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