(Articolo apparso su Rolling Bone Italia n. 8.532.412 – marzo 2021)
di Danny “Duck” McDowell (traduzione di Antonio Maniscalchi)
Ve lo ricordate il 2019? Capisco se la vostra risposta è negativa, era solo poco più di un anno fa, eppure sembra un secolo. E ancora di più capirei se aveste completamente rimosso che il 2019 fu l’anno de Le Cose. Chi? direte giustamente voi, e forse poco dopo vi si accenderebbe una lucina: ma certo, Le Cose, in quell’anno non si parlava d’altro, sembrava che fosse il fenomeno musicale del momento, e certamente destinato a durare. Diciamo che quello che è successo nel 2020, e che ancora sta succedendo, può essere una buona scusa per nascondere un fenomeno che avremmo comunque dimenticato…
Eppure, sul momento, fu una cosa incredibile: non si parlava d’altro, la carovana di convertiti sulla via di Damasco era interminabile. Solo noi di Rolling Bone ignorammo il fenomeno e possiamo dire che il tempo ci ha dato ragione.
A questo punto è meglio però mettere ordine, cominciando dall’inizio.
Era il maggio del 2019, un secolo fa, come si diceva. L’annata musicale era già iniziata in maniera fantastica, con i nuovi dischi, rispettivamente, dei Backstreet Boys a gennaio, dei Dream Theater a febbraio, di Dido a marzo e dei Circa Waves ad aprile. Poi arrivò, come un fulmine a ciel sereno, il primo disco di una pressoché ignota band italiana, intitolato “Famo i sordi”. Incomprensibile fin dal titolo, l’album, completamente strumentale (!) e dalle sonorità indubbiamente moleste, non si sa come, non si sa perché, abbagliò mezza stampa internazionale. Titoli di canzoni incomprensibili, un progetto musicale poco a fuoco, qualità di registrazione ignobile, eppure sembrava che si fosse prodotto un nuovo miracolo musicale, una svolta epocale quasi come l’avvento del Dylan elettrico, l’uscita dell’unico disco dei Sex Pistols o la pubblicazione di Rumors dei Fletwood Mac. Fu una gara retorica a chi diceva più stronzate: chi sottolineò (cito a memoria) “l’incredibile complessità della palette sonora”, chi “le strutture oblique, tutte in [palesemente falsi, aggiugerei] 7/8”, chi la “mercuriale genialità di Mercalli”, compositore di tutti i brani, chi “il mefistofelico intreccio di chitarre”, chi, infine, “l’orgasmico suono del sassofono”, uscito secondo alcuni deliranti individui (definirli giornalisti sarebbe troppo) direttamente “da una affannosa copula tra Coltrane e Hendrix”.
Iniziarono a prodursi folle idolatranti, i fan club, cominciò l’inevitabile e infinita serie di concerti: in particolare un faraonico tour mondiale, su cui furono spesi interminabili (e inutili) fiumi di inchiostro, oltre che un numero spropositato di denari di teenager che avrebbero potuto essere investiti con molto più profitto altrove. Mentre noi tentavamo invano di sottolineare l’indubbia superiorità del nuovo disco di Springsteen, o l’incredibile nuova prova dei Tool, era tutto un cantare le lodi dei Cosi nostrani, in un impeto da delirio collettivo globale, degno dei Beatles appena sbarcati in America nel 1964.
Durò per circa sei mesi, forse meno; poi piano piano il fuoco cominciò a spegnersi, si covarono ancora per un po’ le timide luci delle braci sempre meno ardenti e finalmente il rumore degli adoratori della prima ora, cacofonico quasi quanto le tracce del tanto idolatrato disco, cessò.
E poi? E poi più nulla; l’umanità ha avuto ben altre e più importanti urgenze da affrontare. Il “miracolo musicale” si è dimostrato ciò che era fin dall’inizio: solo un fuoco di paglia. I nostri “eroi” si sono ritirati nei loro attici, nelle loro ville, nelle loro isole private dopo l’abbuffata inaspettata e i miliardi accumulati, in “ritiro creativo”, secondo il loro entourage, per prendersi il tempo per creare un secondo, magnifico disco. L’hype inizialmente era alle stelle, ma man mano che si vide che nulla usciva da quella “incredibile fucina creativa”, l’attenzione scemò.
E allora qualcuno cominciò a ricordare che noi di Rolling Bone eravamo stati gli unici a vederci giusto. Che probabilmente si trattava solo di un’ulteriore moda passeggera, un po’ come i Sonic Youth nell’85.
Siamo nel 2021, e del nuovo disco nemmeno l’ombra; neanche un breve annuncio su una possibile data di uscita, qualche rumor, qualche timida dichiarazione. Nulla di nulla.
Ma cosa c’è da stupirsit? Il disco in fondo si chiamava “Famo i sordi” e Le Cose, con grandissima probabilità, dopo il colpaccio, sono fuggiti con il bottino. Non credo li rivedremo più.